Ne avevamo
parlato con “Come cerchi nell’acqua”
(titolo post “Tartan noir”, del 30
agosto 2016).
“Il caso Tony Veitch” è il secondo della
trilogia.
Contestualizzazione
finita.
McIlvanney si
conferma tra le mie eccellenze scozzesi, insieme alle Orkney, lo Scapa e la
Italian Chapel sull’isola Lamb Holm (un piccolo segno dell’Abruzzo artigiano).
Il suo scritto
è solcato da una dignitosa denuncia sociale, una traccia costante disseminata lungo
la sua carriera di scrittore, trovatosi al piano di sopra rispetto a suo padre
(working-class dad, anzi, proprio un minatore), grazie allo studio.
Il manifesto
filosofico che veicola tramite Jack Laidlaw raggiunge un momento epico nella narrazione
della visita a Jinty Adamson, nella elevazione quasi mistica di quelli che
qualifica come martiri della decenza, “che
avrebbero trattato con cortesia istintiva persino la morte, i buoni non
ufficiali, quelli i cui nomi non si trovano sul calendario … ma per Laidlaw
erano i migliori tra gli uomini”.
Per quanto valga,
tendo a concordare con molte delle riflessioni al proposito: “Voleva la zuffa della vita quotidiana,
vissuta nel modo migliore, senza l’aria condizionata esclusiva delle
convinzioni”.
Jack
Laidlaw è meno cinico di Marlowe, ma più caustico.
Ha bisogno
di una spalla, Harkness, che potremmo tradurre letteralmente con una locuzione
quale “stare nello stato di non ascolto”
(hark-ness). Forse il nome è scelto proprio in antitesi a Laidlaw, che gli
rimprovera di imparare da lui quel che vuole, non quel che deve.
Imperdibili
alcuni passaggi, degni di una scrittura senza pari in quanto a laconicità e
corrosività.
“Conosci la vita che ha avuto. Il suo santo
patrono era Torquemada”
“L’indifferenza è come un fiume che bisogna
risalire controcorrente”
“Ha perso il gusto per il whisky perché è il
proprietario del pub”
Il terzo
volume è sul comodino.
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