Tuesday, May 31, 2005

Highway 61 Revisited - Bob Dylan

La statale 61 corre attraverso gli Stati Uniti per consegnare ovunque la musica blues. Bob Dylan, nel 1965, era un giovane di ottime conferme, ed ebbe l’idea di rivisitare idealmente gli stili musicali, per una commistione di blues, folk, country, rock: i suoni della strada del blues andavano riletti, “Highway 61 revisited”.
Era in periodo di pieno cambiamento e si stava scostando, ma solo nel modo di concepire la musica, dal suo maestro Woody Guthrie. Il menestrello folk del Signor Tamburino e delle parole nel vento imbraccia la chitarra acustica o elettrica? Probabilmente l’ottima versione elettrica di “Mr. Tambourine man”, edita nello stesso anno da McGuinn e i suoi uccelli, completo’ la trasformazione. Le critiche, furiose in qualche caso, non mancarono: definire “un invito a scendere dal palco” le critiche degli spettatori infervorati del festival di Newport del 1965 e’ un eufemismo. Era il concerto del folk: Pete Seeger, Joan Baez, Peter Paul & Mary. Lui, invece, aveva avuto l‘ardire di impugnare per davvero il sogno elettrico, esibendosi insieme a Paul Butterfield ed alla sua Blues Band, pubblica eresia del depositario di “This land is your land”.
La risposta era il suo viso stralunato sulle copertine di “Highway 61”, capolavoro secondo alcuni, tradimento secondo altri. L’album usci’ quasi contemporaneamente al Festival e l’affezionata audience del ragazzo di “The Freewheelin' Bob Dylan” ebbe la conferma del cambiamento.
Senza alcun commento da parte della difesa, fu il tempo a lasciar scoprire l’introspezione del nuovo Dylan, nuovo solo per il modo di utilizzare gli amplificatori, ancora una volta il caro vecchio Bob per i contenuti. Forse questa volta ancora piu’ penetranti.
Brani consegnati alla storia. Probabilmente anche questo titolo sarebbe stato appropriato per l’album. L’apertura e’ affidata ad una coinvolgente, spigolosa, nasale “Like a Rolling Stone”; il successo l’ha vista impressa nei solchi del vinile di ben 11 successivi LP: tralasciamo il numero di volte in cui Mick Jagger e le pietre rotolanti l’abbiano considerata alla stregua di un proprio inno, scagliandola con veemenza ancora maggiore nei microfoni.
Ancora “Tombstone blues” per rinvigorire il ritmo, molto viva, tagliente anche nel testo: “The ghost of Belle Starr she hands down her wits to Jezebel the nun she violently knits a bald wig for Jack the Ripper who sits at the head of the chamber of commerce”; in questi passaggi la voce di Bob non e’ il massimo della nitidezza, ma il ritornello “Mama's in the factory, she ain't got no shoes” e’ chiaro nella memoria. Decisamente outstanding anche “The ballad of a thin man” e il suo Mister Jones; piu’ lenta delle altre ma non meno scandita da una tonificante elettricita’. Sugli scudi l’omonima “Highway 61 revisited”: chiarissimo il riff elettrico tra le strofe cantate, lama di coltello per gli old Bob fashioned.
Non c’e’ happy end, come solitamente accade nei mosaici di Bob. “Desolation row” e’ il ritratto di cio’ che il perbenismo di rifiutava di vedere, e’ “Cenerentola spazzata via”, e’ la canzone di “Mr. Filth”, che il dr. Dobermann di un folksinger nostrano ricorda molto da vicino. Sono gli undici minuti piu’ lucidi di chi era critico nel lasciare gli ultimi al di fuori del post war dream.

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