3 aneddoti
→ Dotto’, tu ch' sc' leggiut' i libbri paccut', ligg'm na poch' 'sta funduari'
→ lett. “Dottore, tu che hai letto i libri alti (ossia con molte pagine, quindi sei istruito), leggimi un po' queste cartelle esattoriali delle imposte fondiarie” (fabbricati, terreni ed altri tributi che incidevano sulle proprietà ed aziende agricole, indicati con codici d'imposta sconosciuti ai contadini che, negli anni cinquanta, non erano molto scolarizzati)
→ Firm't, na cain pur a te!
→ Si narra che un nobile sulmonese, durante le festivita' natalizie, fece preparare dai suoi uomini la sua carrozza con al seguito un carretto con alcune galline ed alcuni cavalli di pregio. Il proposito era quello di passare dai suoi piu' cari amici per gli auguri, regalando loro una gallina oppure un cavallo.
Giunto sotto casa del primo, lo chiamo' e gli chiese: "Chi comanda a casa tua ? Tu o tua moglie?" L'amico rispose senza esitare: "Mia moglie".
Il barone disse allora: "Benissimo, allora scegli una gallina fra le disponibili nel carretto, come mio regalo di Natale".
Il notabile continuo' il giro e tutti gli amici, alla medesima domanda, dettero la stessa risposta del primo, ricevendo tutti in dono una gallina. L'ultimo amico rispose invece che in casa sua comandava lui, e non la moglie.
Il barone allora disse: "Finalmente ho trovato una casa in cui comanda un uomo", e rivolgendosi all'amico esclamo': "Scegli un cavallo".
L'amico passo in rassegna tutti i cavalli, ma non sapendo quale scegliere chiamo la moglie che era in casa e le chiese: "Mare', lu baron c'vo regala' nu cavall, cumma' lu pij? Bianch(e) o nir?".
E il barone sconfortato escalmo': "Firm't, na cain pur a te!".
→ Scanset(e) Crist(e) che mo arrive la ravar(e)
→ C'era un bontempone sempre ubriaco ed ormai alcoolizzato, che non poteva stare neanche un minuto lontano dal fiasco di vino. Arrivò il tempo di fare il precetto pasquale e, dopo essersi confessato, avrebbe dvouto accostarsi per la S. Comunione. Da premettere altresì che la vicenda si riferisce agli anni 50 del secolo scorso quando per fare la comunione occorreva essere digiuni dalla mezzanotte. Quando riferì alla moglie che non poteva fare la comunione perché non poteva stare più di un minuto lontano dal bere, la moglie lo pregò vivamente di fare qualsiasi sforzo per restare digiuno e senza bere fino all'ora della Comunione che avrebbe fatto nella prima S. Messa della domenica mattina alle ore 6,00. Il marito rispose che non ce l'avrebbe fatta: l'astinenza era troppo lunga.
La moglie lo pregò di nuovo e riusci’ a convincerlo dicendogli che lo avrebbe accompagnato portando con sé un bel fiasco di vino in modo che, appena fatta la comunione, il marito sarebbe uscito fuori e avrebbe potuto farsi una bella bevuta a ricompensa del sacrifico sostenuto.
Tutto si svolse alla perfezione: Il marito diligente attese trepidante di farsi la comunione e subito dopo si fece dare il fiasco di vino dalla moglie e, uscito fuori il portone della chiesa, sotto il porticato tolse il tappo al fiasco e, preso dalla irresistibile voglia di farsi una lunga bevuta, esclamò ad alta voce: “Scanset(e) Crist(e) che mo’ arrive la ravar(e)” (ossia, “Spostati Cristo che adesso arriva la slavina”).
Il termine ravar(e) deriva da rava ed indica quei brecciai che si intravedono specialmente sul versante pacentrano della Majella (donde i vari nomi dati alle singole rave). Il termine viene usato, forse più giustamente, per rappresentare il precipitare a valle, durante lo scioglimento delle nevi, di acqua, neve e pietre.
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