In Italia, comprare un’abitazione del valore di 200.000 euro richiedendo un mutuo pari al 100% del valore dell’immobile costa, “circa” (ma potremmo dire “oltre” senza per questo sbagliare), 1.000 euro al mese per 30 anni, a tasso fisso (la follia del tasso variabile non la prendiamo neanche in considerazione).
Il montante (interessi + capitale) e’ pari a “circa” (ma potremmo dire “oltre” senza sbagliare) 360.000 euro.
Quindi, sebbene il mutuo sia un prodotto a rischio zero per la banca, perche’ questa impone ovviamente l’ipoteca sull’immobile (ossia una garanzia reale che attribuisce alla banca il diritto di espropriare i beni vincolati a garanzia del suo credito), viene richiesta una remunerazione per il rischio relativamente al denaro prestato (ossia gli interessi) per un importo quasi pari al valore dell’immobile.
Vale a dire: ti presto mille lire per comprare la casa, occhio che dovrai rendermene duemila e se non riesci a darmele indietro la casa e’ mia.
Qualsiasi persona di buon senso si chiederebbe che senso ha concludere l’affare a queste condizioni.
Inoltre le banche spesso cartolarizzano i mutui, ossia cedono a terzi il credito che vantano nei confronti del proprio cliente; l’operazione ha ovviamente un costo per la banca, tuttavia in questo modo essa e’ completamente sgravata da qualsiasi rischio (per quanto non ce ne fossero comunque!) nei confronti del cliente.
Il compratore del credito utilizza generalmente le rate del mutuo come sottostante di una emissione obbligazionaria; il rendimento dell’obbligazione e’ costituito dalle rate del muuto.
Pero’ (e c’e’ un pero’), se il signor rossi non e’ piu’ in grado di onorare il proprio debito, si innesca il seguente meccanismo:
- la banca espropria l’abitazione (la banca e’ indenne dal rischio, ma il debitore ha perso i soldi versati fino a quel momento e la casa),
- l’obbligazione e’ in default (la banca e’ indenne dal rischio, ma l’acquirente dell’obbligazione e’ in una situazione di difficolta’).
Questo e’ quanto avvenuto nel caso dei subprime americani che hanno destabilizzato i mercati qualche settimana fa.
Pertanto, in conclusione, chi rischia non e’ mai la banca, ma sempre il cittadino.
Altrimenti non sarebbe possibile, in un periodo in cui il PIL cresce dell’1% / 1,5%, che il tasso di crescita delle banche sia pari al 10%.
Questa e’ l’incongruenza del sistema. Gli imprenditori falliscono, le banche mai. Eppure il principio dovrebbe essere il medesimo: qualcuno vende scarpe, qualcuno vende abiti, qualcuno vende soldi; il punto e' la vendita non avviene ad un prezzo equo.
Affronto l’ultimo argomento.
Chi e’ nelle condizioni di comprare, se single, una casa? (non stiamo parlando di un castello, un attico, una reggia: il caso esposto e’ riferito alla citta’ di Milano, con un costo per metro quadro pari a circa 3.500 euro)?
Soltanto chi ha uno stipendio superiore a 3.000 euro al mese, in quanto le banche non erogano mutui con importi di rata mensile superiori ad un terzo dello stipendio (quindi 1.000 euro su 3.000).
Inoltre, anche chi riesce a comprare un’abitazione, deve destinare una quota consistente del proprio reddito al pagamento delle rate, riducendo la propria capacita’ di spesa per altri beni (primari e secondari).
Quindi un minor consumo di alimenti, ferie, auto, libri, etc.
Di qui, a mio avviso, la stagnazione dei consumi, fronteggiata in parte con l’esplosione del credito al consumo, ossia un altro meccanismo studiato dalle banche per vendere a piccole rate cio’ che non puoi comprare piu’ perche’ stai pagando il mutuo.
Ma anche su queste piccole rate c’e’ un tasso di interesse da pagare, non sempre tanto piccolo...
I governi che guidano il paese cosa fanno per affrontare il problema?
Regolamentano le banche?
No, se le contendono evidentemente…
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