Monday, December 11, 2006

Cena e dopocena.

Sono andato a cena perche' dall'aereo era visibile la serie di Fibonacci appesa alla Mole Antonelliana, e significava che li' sotto dovevo andare, anche alle 22.30.
Ero infastidito, come ultimamente accade spesso.
Ho mangiato culatello, lardo e un salamino di cui non ricordo il nome.
Ho mangiato gli agnolotti e poi i formaggi; mi sono fatto scrivere i nomi: toma d'la paja, murazzano di rocca verano, raschera, bra duro e rebruchon. Altrimenti alcune delle sensazioni provate stasera sarebbero cadute per sempre nell'oblio.
Per deglutire, barbera d'asti superiore Briccoaguggia Il portichetto. E Braulio.
Mi e' cambiato l'umore.
Perche' ho notato che avevo parlato piu' io con me stesso (discusso, incazzato, gioito, perplesso, indeciso, valutato, riappacificato) di quanto le tre coppie presenti a quell'ora avessero fatto tra loro.
Perche' ho capito che il punto e' che sono vivo.
Cioe': un uomo puo' essere sempre uguale a se stesso solo se non fa i conti, ipocritamente, con quanto gli accade. In quest'accezione, la coerenza e' odiosa: ricondurre al prorio schema mentale cio' che l'infinitamente incredibile combinazione dell'universo propone.
Chi dice che cio' non e' vero, allora provi a progettare, senza fallimenti, da domani, il mondo, l'uomo, l'amore, la famiglia e l'amicizia.
Se non ci riesci, devi arrenderti e rendere necessariamente presente a te stesso che tu non puoi farci nulla, non puoi condizionare gli eventi, non devi sforzarti di far andare in un certo modo le cose (tanto non ci andranno), non devi apparire, ne' sembrare diverso da come sei, con tutti i limiti, le paure e le incertezze di cui non puoi vergognarti.
Questo riconoscimento puo' mutare un'espressione dura del volto, con le smorfie e le rughe di preoccupazione, nella risata del bambino incredulo di fronte al mondo, cioe' uno che e' pronto a tradire il padre e la madre per una cosa nuova che gli succede, infilando le dita nella corrente, correndo verso una macchina che passa per strada, infilando la testa nel forno caldo.
Il grande si preoccupa, il piccolo sperimenta.
Dovremmo essere piccoli, altrimenti avremo solo preoccupazioni e ci perderemo la realta'.
Il punto e' che mi sono dovuto forzare per non far scappare questi pensieri dalla testa.
Il punto e' che dovremmo sforzarci di accogliere senza pregiudizio gli incontri, le sensazioni, le ore che passano.
Allora di ogni cosa che ti colpisce vale la pena di pensarci e spendere la risorse scarsa che abbiamo, ossia il tempo, nel tracciarle, pensarci, riflettere.
Quindi, il punto e' capire il dolore e la dignita' di Dashiell Hammett quando ha detto alla moglie di non scrivere nulla su di lui, perche' sarebbe stata un'autobiografia con qualche riferimento ad un amico, un certo Hammett.
Quindi, il punto e' riconoscere impotentemente vero l'articolo di sabato di Langone sul Foglio, la piu' bella dichiarazione di interesse verso un altro essere umano che, al momento, ricordi ("Giovanna, fai il presepe"), e che distingue il moralismo dall'attenzione:
"Ti ricordi cosa disse il proprietario della Terrazza Calabritto quand' ci porto' il conto? Io mangiai bene e bevetti meglio ma la cena si e' fissata nella mia memoria per quella sua parola: "Attenzione". Ci avviso' dello sconto con incredibile garbo, senza la solita laidezza del ristoratore ruffiano, dicendo: "Ho avuto un'attenzione". ... Attenzione verso tutto: uomini, animali, cose."
L'attenzione salva il mondo. Essere attenti, che non vuol dire stare attenti. Significa avere a cuore, avere cura.
Per questo apprezzo Mastroianni, che era un uomo, non un attore, e che pensava che gli attori stanno sul palcoscenico, ma gli uomini no.
Per questo vale la pena aspettare fino alle tre di notte una telefonata che non arrivera' mai.
Il punto e' che siamo arrivati tristemente al punto che niente vale la pena a parte cercare di farci amici i nostri conoscenti, mentre e' il comportamento piu' vigliacco che ci possa essere.
Il punto e' che non si puo' tirare a campare, ne' tirare per campare, che la vanita' di razionalismo del mio pensiero mi ha sempre impedito (e solo con questo stato d'animo vale, altrimenti niente proibizionismi).
Se cosi' e', riconosci che non puoi interessarti solo di quello che comodamente ti attrae istintivamente (la giaccia di Loro Piana, il Foglio, la politica, l'amore, il sesso...), ma bisogna fara la fatica di rendere presente anche dolore, preoccupazione, e perche' no gioia, sorriso, sbronze e abbraccio ad un amico.
Solo cosi' ci si appassiona alla realta', e si valorizza tutto: intuisco, percependo forse solo un attimo della realta', come C.S Lewis abbia potuto scrivere il Diario di un dolore, come il mio amico M. abbia potuto sposarsi, perche' mi alzero' domani mattina per andare a lavorare dodici ore, perche' ho scritto quanto ho sentito.
Meno di questo e' un accontentarsi.
Tristemente accontentarsi dello tsunami che travolge l'esistenza.
Per questo, e non meno di questo, siamo uomini e non caporali; siamo i fessi, e non i furbi, di cui Prezzolini parlava.
Per questo, e non meno di questo, posso lavorare per il 90% del mio tempo, e cercare di vivere il 10% restante come fosse il novanta.
Per tutto questo stasera ho finito le sigarette e mi mettero' serenamente a leggere Ross MacDonald.
Se non fosse cosi', almeno in parti micron, non riuscirei ad addormentarmi, per quel poco che accade, oppure mi sveglierei con molto piu' dolore di quello che normalmente l'essere presenti a se stessi richiede.
Per questo, non per altro.

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