Tuesday, September 20, 2005

Mangiatoie. L'agrifoglio.

Inauguro oggi, vista la pressione di Gunny, la rubrica: “Una mangiatoia in duecento parole. Nutrimenti e dissetanti."

Proveremo a raccontare in concetti semplici dove siamo stati a cena.

Cominciamo con il ristorante L’Agrifoglio, via Accademia Albertina 38/d, Torino.

Un carrello di formaggi all’ingresso, tovaglie rosse a scacchi in tavola, grissini accatastati sul tavolo come la legna in giardino. Queste sono le prime immagini casalinghe de L’agrifoglio.

L’understatement curato e' confermato dal menu' scritto con calligrafia tonda e bambinesca, tipica delle scuole elementari, e dai due proprietari, che accolgono direttamente l’avventore, senza l’ausilio di camerieri con l’orecchino o i capelli unti.

La sola cosa che risalta, com’e' giusto che sia, e' la qualita' del cibo delle radici piemontesi, presentato senza fantasiose rielaborazioni che spesso malcelano ingredienti non freschissimi.

Porcini fritti, zuppa di orzo e fagioli, trippa all’arneis, fassone, carne cruda al coltello, agnolotti al plin. Tra i dolci spiccano quelli al cioccolato dell’ottimo Guido Gobino. Una cantina assortita di vini e whisky delle terre del nord (Scapa, Ardbeg, Lagavulin) aiuta a dissolvere i pensieri terreni lasciati in dote da una giornata di lavoro.

Ci vuole qualche visita per rendere il proprietario moderatamente affabile; addirittura, dopo qualche portata, azzarda: “Come si dice? Ora va meglio, no?“. E non si trasforma in orco vorace quando comunica il dispendio economico.

Ci sara' pure qualche lacuna? Si', il menu' non cambia molto di frequente ed il frigo delle birre e' pieno di ragnatele, metaforiche ovviamente.

E allora “Vinum bibant homines” (precetto della Scuola Salernitana).

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