Rimanere affascinati dalla trama del film è il regalo che Bryan Singer, di professione regista, ha consegnato ad un pubblico attonito ed a Christopher McQuarrie, di professione scrittore.
Una trama ottimamente ricostruita sotto tutti i punti di vista e assolutamente difficile da interpretare almeno fino al colloquio tra Kevin Spacey e Chazz Palminteri, nell’ufficio della polizia di quest’ultimo. Dettagli di grande classe artistica si susseguono con apparente assoluta noncuranza.
Principesca è la figura di Gabriel Byrne, elegante e compito nel modo di recitare.
Benicio del Toro al di là di ogni paragone, sebbene questa interpretazione sia quasi un cameo, perfetto come in ogni suo film, compreso l’ultimo “Traffic”; qui è un delirante e sbalestrato Fred Fenster.
Kevin Spacey, nei panni di Verbal, incarna il suo ruolo come vorrebbe Stanislavskij. Chi non ha avuto poi una stretta al cuore quando ha visto improvvisamente riprendere la normale articolazione alle sue gambe? Un caratterista eccezionale, ruolo per cui nello strapagato star system americano c’è lo spazio che si merita.
Un po’ sottotono, sebbene la saga familiare possa contare su un altro valido partner, è Stephen Baldwin: la particina in “Nato il quattro luglio” ha tuttavia consacrato l’avvio della carriera di un buon attore.
Merita un dettaglio a parte Pete Postletwhite, attore inglese di lunga milizia, “Giuseppe” ne “Nel nome del padre”. Gli abiti di Kobayashi sembrano tagliati su misura da un sarto di Savile Row. È il risvolto tranquillo di Söse, nervi d’acciaio, tempra di titanio, impassibilità che solo un ottimo attore, english style, poteva interpretare.
La figura, ad ogni modo, assolutamente preminente è un’ombra, una figura che si dipana in ogni istante nel midollo delle vite dei co-protagonisti, Kayser Sose; li controlla, può farli agire secondo la sua volontà. Per alcuni è il diavolo in persona. Nessuno lo ha mai visto, se non qualcuno per qualche breve istante. Il magiaro. È talmente spietato da uccidere tutti coloro che avevano assassinato la sua famiglia, tutti quelli che avevano rapporti con chi aveva assassinato la sua famiglia, perfino doveva dei soldi a queste persone. Non sognatevi di notte Kayser Söse!!
Film godibilissimo come se vedono pochi, thriller senza averne l’aspetto, trampolino di lancio di un geniale Kevin Spacey, che ha un unico torto, quello di non poter replicare in apparenza tutta la sua cattiveria in prima persona, come in “Seven”. Anche lì, forse, avrebbe avuto bisogno di un alter ego, Kayser Söse appunto.
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