Thursday, March 31, 2005

Californication - Red Hot Chili Peppers

Si sono concessi la possibilita' di essere superlativi.
L’hanno sfruttata più che ottimamente.
Stupisce la ritrovata esuberanza di Kiedis, giova la stabilita' empatica di Frusciante: il risultato dell’alchimia e' la presenza in “Californication” di diversi brani di decisa validita'.
Al di la' della condivisione delle tematiche sociali che percorrono l’album, legate alla californizzazione e peraltro gia' individuate da Bob Dylan in un’analoga, almeno dal titolo, “California” del 1972, e' apprezzabile la critica di un mondo che li vede in parte protagonisti. Il loro e' comunque “the middle point of view” rispetto allo splendore delirato negli anni del surf e la più cupa disperazione di Cobain: talora sembrano quasi vicini a colorare e vestire the checking waves della west coast con le tonalita' grunge.
Forse sta proprio nel melting pot la forza dell’album, nella capacita' di racchiudere entro il medesimo contenitore frammenti come “Scar tissue” e “Road trippin’”, “Savior” e “Around the world”.
Da grandi hanno poi capito quanto sia importante di questi tempi, e specialmente per le rockstar, la comunicazione, adeguatamente supportata da ottimi viedoclip.
Non sono più i tempi della potenza esplosiva di “Blood Sugar Sex Magik”; i quattro sono cresciuti, tre di loro sono vicinissimi alla soglia dei quaranta e forse hanno utilizzato questo disco per concedersi una riflessione, alternando energia e tranquillita'. Forse sono i nipotini saggi dei Guns ‘n Roses, e soprattutto dei Ramones. Probabilmente hanno afferrato un concetto ti serpeggia nella testa se sopravvivi gia' da qualche tempo nell’ambiente rock: non puoi continuare a spingere sul gas per sempre (a meno che tu risponda al nome di Iggy Pop!).
Non e' il caso di giudicare la qualita' delle singoli brani: soddisfano qualsiasi ascoltatore. Ottimi “Parallel universe” e “This velvet glove”.
Conosciutissime la melodia di “Scar tissue” e il viaggio in macchina di “Californication”. In quest’ultimo brano, tra l’altro, si nota un parallelo, non so quanto voluto, con alcuni versi del grande poeta William Blake, che sosteneva come “the road of excess leads to the palace of wisdom”.
Anche Kiedis & friends sostengono, forse con qualche stilla di maniera in meno ma confermandone il senso, che “Destruction leads to a very rough road but it also breeds creation”. La storia si insegue, ma qualcuno di loro ha confermato più avanti nel disco che quel lifestyle, almeno per ora, non appartiene loro.
Assolutamente outstanding e' l’ultimo brano dell’album: “Road trippin’” lì porta a realizzare quella loro voglia di fermarsi qualche tempo a riflettere a Big Sur. Le parole appaiono come perle, il paesaggio in cui e' ambientato il clip e' quanto di più naturale si può immaginare chiudendo gli occhi mentre la radio passa “… these smiling eyes are just a mirror for the sun…”.

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