L’album probabilmente più esauriente, al palato degli ascoltatori, dei Rolling Stones non ebbe commenti positivi a go-go quando l’establishment lesse la scaletta dei brani e poi ascoltò “Sympathy for the Devil”. E ne aveva orridamente commentato la copertina: censurata la prima versione, una seconda, clericalmente bianca, ne prese il posto; tra le variazioni più manifeste, la scomparsa della scritta “American dream” orientata verso la turca, che si staglia imponente al centro del poster: al suo cospetto la toilette più sudicia della Scozia di Trainspotting e' un bagnetto per infanti.
“Pleased to meet you, hope you guess my name…”.
Ma e' la solita presa in giro dei Rolling Stones: divertirsi a guardare in faccia chi si scandalizza della loro apparentemente triviale overture verso tutto ciò che e' sulla firing line lecito – ops siamo appena fuori. In un album di qualche anno dopo, ancora l’ottimo omaggio al blues di “Exile on main street”, esplicitano questo loro approccio con “I just want to see His face” (of God)!
Quel che importa e' che il gruppo si trova in piena fase blues quando si siede alla tavola del “Banchetto dei poveri”, e un ottimo blues pervade il convito fin dentro i solchi del vinile. E se nei solchi qualcuno aveva visto del fango, beh, loro l’hanno ripulito disegnando pentagrammi memorabili.
Se qualcuno ha avuto la fortuna di vedere trasmesse in tivvù le prove in studio di registrazione del loro marchio “Sympathy for the Devil” si e' accorto, e' proprio il caso di parlare di ironia della sorte, di quale stato di grazia si diffondeva durante quei momenti. Parliamo qui di qualcosa di lontano da un’ingegneristica costruzione di un’immagine di cattivo a tavolino, che media e Stones stessi hanno vitaminizzato perché la cannibalizzazione mediatica ha sempre bisogno di un rivale (Joe di Maggio e Babe Ruth, Kennedy e Castro, McEnroe e Lendl, anzi no il Mac non aveva rivali, pardon per la digressione). Quelle immagini sono il riflesso di chi si rallegra, divertendo innanzitutto se stesso nell’opera pia di scrivere e suonare e cantare musica.
Fuoco di fila di attonita deferenza verso Muddy Waters e soci i primi brani: “"No expectation” e' la traduzione blues dell’esplicito morrisoniano “We want the world and we want it now”, stesse motivazioni fondo con l’amplificatore staccato e un timbro vocale cui strizzera' l’occhio Mark Bolan.
“Dear doctor” e' la radiografia epatica e bronchiale dell’epico mondo musicale che sfugge come la salute a cavallo dei leggendari anni di rivolta, against rules & order, qui descritta in maniera assolutamente simpatetica, ma che ha condotto più di aedo rock al disfacimento fisico, eccezion fatta per Iggy l’iguana Pop.
Si prosegue, sintonizzati sull’onda rock blues, con la solida “Street Fighting Man”, bandita dalle radio statunitensi perché accusata di aver provocato disordini alla Convention nazionale dei Democratici quando venne pubblicata come singolo; e poi ancora “Stray Cat Blues”, flash sul mondo delle groupies, tanto caro agli Stones... vedi Marianne Faithfull.
Gli Stones non si distraggono, traducono in modo assolutamente personale, disincantato e goliardico the music business, arcuando i loro corpi dietro il fragore della loro stessa vita, epicamente additata come cattivo esempio per i figli.
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